4 – CI PREPARIAMO AD AFFRONTARE L’INVERNO ANTARTICO

Arrivo a Concordia della carovana con materiale, viveri e combustibile

DAL DIARIO DI ANGELO GALEANDRO (01 FEBBRAIO 2022)

Lo spirito di gruppo aiuta a superare le avversità e i legami di amicizia aiutano a sentirsi “in famiglia”. Dopo quattro mesi sta finendo la campagna estiva, la stazione si svuota e i 13 invernanti si preparano a diventare gli unici abitanti della stazione.

In queste pagine del suo diario, Angelo Galeandro ci racconta degli amici ritrovati, del Covid-19 che ha fatto capolino anche in Antartide e delle difficoltà che si incontrano a regolare il ritmo circadiano sonno/veglia in un luogo dove le ore di luce sono sempre di meno e Il buio prenderà il sopravvento sul giorno.

RIASSUNTO DELLE PUNTATE PRECEDENTI

Partito dall’Italia il 16 ottobre, dopo un periodo di isolamento preventivo in Nuova Zelanda a causa della pandemia COVID-19, sono tornato a calpestare il suolo antartico il 2 novembre. Luoghi che pensavo non avrei mai più rivisto e che, invece, una serie di fortunate coincidenze mi han portato a rivedere e rivivere con molta emozione. Dopo un breve periodo trascorso nella base italiana Mario Zucchelli Station, da cui mancavo da 5 anni, il 7 novembre sono approdato nella base italo-francese Concordia Station, dove avevo già trascorso un anno intero nel 2011. Concordia è una base remota situata sul plateau antartico ad oltre 3200 m di quota, un sito dalle condizioni ambientali molto difficili in cui temperatura, umidità e pressione mettono a dura prova il fisico umano. L’isolamento, inoltre, rende difficoltose le interazioni con il resto del mondo ed è solo lo spirito di gruppo che aiuta a superare le avversità. Dopo un paio di giorni, necessari per un primo adattamento e al superamento dei malesseri dovuti all’alta quota, è cominciata l’attività lavorativa che, con l’arrivo del personale scientifico estivo è aumentata, in un susseguirsi di operazioni volte all’addestramento del personale che, durante la stagione invernale, dovrà manutenere la strumentazione scientifica assicurandone il buon funzionamento.

LE FESTE NATALIZIE

A mio parere l’atmosfera natalizia è del tutto assente nelle basi antartiche. Forse il fatto di non essere con la propria famiglia o semplicemente in un mondo in cui il Natale trasforma i luoghi in una esplosione di luci e colori, contribuisce ad attenuare fin quasi ad annullare l’atmosfera che siamo abituati a sentire man mano che il Natale si avvicina.

La cartolina di auguri del gruppo estivo in occasione del Natale (foto di Armand Patoir)

 

Il periodo festivo è così arrivato in sordina, uniche differenze rispetto agli altri giorni sono state un menù particolarmente ricco preparato dai cuochi e tavoli arredati a festa, solo il 25 dicembre e l’1 gennaio.

Tavola imbandita di dolci preparati dai cuochi in occasione del Natale

 

Ovviamente si è festeggiato facendo un po’ di baldoria allo “Spacca Ossa”, la tenda esterna alla base, riadattata a locale in cui solitamente si organizzano le feste. Ma si è trattato di un festeggiamento uguale a tanti altri.

Previsto inizialmente per il 20 dicembre, a causa di un ritardo dovuto al maltempo, il 25 dicembre è arrivato anche un altro carico di personale scientifico. Tra di essi c’era Paolo, un mio ex-collega invernante del 2011. Anche per lui era la prima volta a Concordia dopo quella esperienza, per cui ritrovarsi qui entrambi dopo 10 anni è stata un’altra bella emozione. Più volte, visitando i vari ambienti della base, abbiamo ricordato di episodi accaduti tempo prima in quello stesso luogo. La stessa cosa mi era già successa con Fred e Djamel all’arrivo a Concordia, anche loro ex-collegi invernanti francesi (con Fred affronterò anche il prossimo inverno). Per tutto il tempo in cui Paolo è restato in base (circa 3 settimane) eravamo in 4 a rappresentare il gruppo invernante del 2011, noto come DC7 (DC sta per Dome C, il sito su cui sorge la base, 7 indica il settimo inverno).

I 4 rappresentanti del Winterover DC7 (2011). Da sinistra a destra, Fred Sergent, io, Djamel Mekarnia e Paolo Perfetti

 

La seconda metà di dicembre è stato anche il periodo più “caldo” della stagione. La temperatura è stata superiore a -20°C per 3 giorni consecutivi, ma non si è potuto beneficiarne appieno a causa del vento che, dall’inizio della stagione estiva e fino alla fine dell’anno, è stato una costante. Solo a partire dagli ultimissimi giorni di dicembre la sua velocità è mediamente diminuita. Ci sono stati giorni in cui era praticamente assente e, con una temperatura compresa tra -20°C e -25°C e il cielo terso, era possibile star fuori per diverso tempo senza provare sensazioni spiacevoli.

Concordia – Aperitivo all’esterno in una “calda” giornata estiva

 

Una sera ho fatto addirittura la strada tra il campo estivo e la base (circa 500 m) senza guanti, senza aver alcun minimo sintomo di congelamento. Altra storia rispetto all’inizio della stagione, quando una sera, tornando  dal campo estivo dopo una festa, non mi ero reso conto che, a causa del vento, la temperatura percepita era di circa -55°C (quella effettiva circa -40°C) e, entrato in base, mi  sono accorto di avere la punta del naso, non protetta, completamente bianca (sintomo di un principio di congelamento) e del tutto insensibile. Il dolore provato mentre il sangue tornava ad irrorare quella zona è stato molto intenso e, da allora, ogni volta che esco, anche in assenza di vento, sono costretto a coprire il naso per evitare un fastidioso dolore.

COVID-19!

Come era prevedibile, anche quest’anno il COVID è riuscito ad arrivare in Antartide. La cosa era già nota sin da prima delle feste natalizie, ma in Europa la notizia è arrivata diverse settimane dopo. Ho già scritto dell’isolamento preventivo a cui siamo stati sottoposti prima di venire qui.  È un protocollo che seguono tutte le nazioni, ma, evidentemente, qualcosa è andato storto. Una delle ipotesi è che il virus sia stato portato nel continente dai piloti degli aerei che volano al servizio delle varie basi che, forse, non sempre sono sottoposti a controlli così rigidi. Ed è così che nella base belga, situata nella penisola antartica, ad oltre 4000 km da Concordia, il virus si è diffuso presso tutti gli abitanti della stazione. Certo, qui il contenimento del virus è molto più semplice da gestire, visto che non c’è libertà di spostamento e tutte le movimentazioni di materiali e persone tra le varie stazioni sono programmate. Ma vista la presenza di numerosi asintomatici, qualcosa può sempre sfuggire e quindi il virus è arrivato anche in una delle basi australiane (notizia che, credo, non sia arrivata in Europa), guarda caso la base da cui sarebbe dovuto arrivare del personale proprio qui a Concordia. Naturalmente la cosa è stata rinviata a data da destinarsi (a questo punto, la prossima estate). Se il virus arrivasse qui, le conseguenze potrebbero essere davvero disastrose. In un ambiente in cui c’è già carenza di ossigeno, un virus che colpisce l’apparato respiratorio ha molte più probabilità di creare danni.

Al contrario delle basi situate sulla costa, collegate da voli diretti con gli altri continenti, Concordia è una base remota sul plateau antartico, a più di 1000 km di distanza dalla costa. Non ci sono voli diretti per il mondo civile, bisogna far tappa sempre sulle basi costiere, Mario Zucchelli Station (italiana), Dumont D’Urville (francese), Casey (australiana) o McMurdo (statunitense). Inoltre gli aerei non sono generalmente mai di stanza a Concordia e, se a questo si aggiunge la probabilità di condizioni meteo avverse, l’evacuazione di una persona in tempi brevi è una procedura per nulla semplice. Il protocollo di sicurezza prevede l’evacuazione dell’intera base in caso di contagio, per cui potete immaginare quale catastrofe rappresenterebbe l’arrivo del COVID. Abbandonare a sé stessa per un lungo periodo una base sul plateau antartico significherebbe perderla del tutto. E se si pensa ai milioni di euro investiti sinora…

Grazie all’IPEV (Institute Paule Emile Victor), l’Istituto Polare Francese, a Concordia sono arrivate diverse decine di dosi di vaccino anti COVID. Il personale della campagna estiva, sia italiano, sia francese, ha potuto così usufruire della terza dose (o dose booster), utile anche per aggiornare e prolungare il periodo di validità del Green Pass in territorio nazionale. Dovendo trascorrere diversi mesi confinato qui, non dovendo fare uso del Green Pass, ero inizialmente indeciso se farlo o meno. Non appena è cominciata a circolare la voce di un contagio nella base australiana da cui sarebbe potuto arrivare del personale, ho aderito alla campagna di vaccinazione e così la mattina del 7 gennaio ho fatto anche io la punturina. Contrariamente alle prime due dosi, questa volta ho accusato il colpo. Forse complice anche l’ambiente, per cui ci si affanna anche salendo una rampa di scale, unito al fatto che ormai erano quasi 3 mesi che non riposavo adeguatamente, il giorno successivo all’iniezione ho provato molta spossatezza e l’ho passato quasi tutto a letto. Fortunatamente non ho avuto altri sintomi e, il giorno successivo, stavo già bene.

STANCHEZZA

Con la chiusura delle feste natalizie è cominciata la prevedibile fase di stanca della stagione. La gran parte delle persone è qui sin dai primi di novembre, lo stress accumulato, sia per il lavoro in condizioni ambientali non proprio confortevoli, sia per la convivenza “forzata” in un ambiente ristretto, comincia a raggiungere i livelli di guardia. Da un lato, il personale estivo è impaziente di tornare a casa, rivedere i propri cari e riprendere la vita di sempre (pur con tutte le complicanze dovute al COVID), dall’altro il personale che rimarrà per tutta la stagione invernale è in attesa della partenza del personale estivo per cominciare l’esperienza dell’isolamento invernale. Per quanto mi riguarda, conto ormai da diverse settimane i giorni che ci separano dal 9 febbraio, data programmata per la partenza dell’ultimo aereo. In realtà le prime partenze sono cominciate a fine gennaio con la base che, pian piano, vede diminuire la propria popolazione.

Sono impaziente di prendere “possesso” della base, considerarla una seconda casa, condividerla solamente con un numero ristretto di persone ed avere, finalmente, molto più spazio a disposizione. Inoltre, l’organizzazione della giornata subisce una modifica radicale. I ritmi diventano molto più blandi, ognuno organizza il proprio lavoro come meglio ritiene (a parte le attività manutentive della base o che richiedono una interazione con gli altri membri del gruppo) e, in generale, si ha molto più tempo a disposizione per se stessi.

Un’altra cosa che spero arrivi con la partenza del personale estivo è la regolarizzazione del mio ciclo sonno/veglia. Dopo un breve periodo nella prima metà di dicembre in cui mi era sembrato ciò stesse avvenendo, sono ricaduto nella trappola dell’insonnia notturna. Qualunque fosse l’ora in cui andavo a letto, durante la notte non riuscivo a dormire per più di 3-4 ore. Fortunatamente, poi, dopo pranzo riuscivo a dormire per altre 2, a volte anche 3 ore. Complessivamente, quindi, dormivo per circa 5-6 ore al giorno, che normalmente è la mia media, ma il fatto di spezzarle in due parti quasi uguali mi procurava una perenne sonnolenza e sensazione di stanchezza. Ho anche provato a non dormire durante il giorno, con l’unico risultato di arrivare ridotto ad uno straccio alla sera e, comunque, non riuscire a dormire più delle solite 3-4 ore durante la notte. Mi sono ritrovato spesso, quindi, a fare la prima colazione intorno alle 3-4 del mattino, momento in cui la base è deserta. In quel momento mi sembrava di rivivere il periodo invernale e, tutto sommato, quelle ore trascorse nel silenzio più assoluto, sono state anche molto piacevoli.

Alla fine, comunque, ho deciso di ricorrere alla medicina con una cura a base di sonniferi. Le prime tre notti ho preso la dose intera consigliata ed è andata benissimo. In 3 mesi, ossia da quando ero partito dall’Italia, solo 2-3 volte avevo dormito più di 4h30m, per cui dormendo più di 6h ho ritrovato l’emozione di affrontare una intera giornata senza provare alcun senso di stanchezza. Nelle successive 3 notti ho dimezzato la dose, il sonno è diventato meno profondo, le ore sono diminuite, ma tutto sommato, nel complesso, il ciclo sonno/veglia è migliorato. Ho infine preso 1/4 di dose per 2 notti e, tutto sommato sono riuscito a riposare. Da un paio di notti non prendo sonniferi, dormo ancora di meno (circa 4h e mezzo la notte), ma riposando circa 1 ora dopo pranzo, riesco a star meglio di prima. Non mi rimane che sperare che sia l’inizio di un miglioramento, altrimenti dovrò ripetere il ciclo.

CURIOSITÀ

Una curiosità che non ho ancora descritto è il fenomeno delle scosse elettriche che caratterizza questo luogo. Come già spiegato, la base sorge su uno spessore di oltre 3 km di ghiaccio, per cui la “messa a terra” delle strutture è, di fatto, inesistente. Un effetto collaterale di questo stato di cose, complice anche l’aria estremamente secca, consiste nel fatto che è sufficiente camminare con delle scarpe in gomma per accumulare cariche elettrostatiche sul corpo, che vengono prontamente trasferite con una scossa elettrica su qualunque superficie metallica si tocchi. Tenendo conto del fatto che la base è costituita    in gran parte da metallo (porte, maniglie, pareti), è facile immaginare come si sia costantemente “tormentati” da questo fastidioso fenomeno.

Una scarica elettrostatica quando la mano si avvicina alla maniglia di una porta

 

Ovviamente le scariche non sono dannose, ma possono essere forti abbastanza da causare la riapertura di un piccolo taglio ormai faticosamente rimarginato, se partono proprio da quel punto.

Altra piccola dolorosa curiosità sono le ragadi. Queste piccole lesioni della pelle causate dal freddo e dalla pelle secca, che colpiscono soprattutto le mani, a causa della estrema secchezza dell’aria, a volte, impiegano anche 3-4 settimane per rimarginarsi, nonostante l’uso di creme idratanti. E nel frattempo, ogni volta che si urta qualcosa con la mano…

Infine, è incredibile come sia possibile esporsi a temperature così basse senza indossare vestiti immediatamente dopo essere stati in sauna. Per sauna intendo un ambiente, ricavato in un container, in cui la temperatura viene portata a circa 90-100°C. Dopo aver passato circa 15 minuti all’interno, è possibile uscire  all’esterno senza coprirsi  non provando la minima sensazione di freddo anche per diversi minuti (a meno che non ci sia vento).

Concordia – Angelo Galeandro all’esterno (temperatura di circa -30 °C) dopo la sauna

LA SECONDA TRAVERSA

Come era successo a metà dicembre, è arrivata la seconda ed ultima traversa, con il suo carico di carburante e viveri congelati.

Contrariamente a quanto avvenuto 10 anni fa, la quantità di viveri da scaricare ed immagazzinare è stata molta di meno. Inoltre, nelle operazioni di scarico/carico è stato coinvolto anche personale estivo, per cui, tutto sommato il lavoro è stato molto meno faticoso di quanto mi aspettassi.

PRIME PARTENZE

Dopo un lungo conteggio, le tanto attese partenze del personale estivo sono arrivate. In realt qualche persona era già andata via, ma il numero delle presenze a Concordia non diminuiva per l’arrivo di altro personale. A partire dalla fine di gennaio, però, la popolazione della base è cominciata a calare. Il 28 gennaio sono andate via 7 persone, la cui presenza in base, però, non si era avvertita se non all’inizio della stagione ed in qualche sparuta occasione, in quanto si tratta del personale impegnato nel progetto “Beyond EPICA”, il nuovo carotaggio progettato in un sito a circa 40 km dalla base. Il 30 gennaio, 14 persone hanno preso il volo, e il 1 febbraio altre 9. Il momento della partenza è sempre particolare. La convivenza in un ambiente confinato crea legami di cui spesso non ci si rende conto se non nel momento del distacco. Si realizza, all’improvviso, che persone con cui ci si era abituati a condividere dei momenti, all’improvviso non sono più presenti, quindi bisogna approcciarsi ad un diverso modo di trascorrere la giornata. Comunque sia, nel giro di 5 giorni, la popolazione della base si è praticamente dimezzata e si vede tanto. Meno confusione, più tranquillità, più silenzio. In più, è partito anche il mio compagno di stanza, per cui da ora in poi potrò disporre di un ambiente tutto mio. E spero tanto questo faciliti il mio sonno.

Per quanto mi riguarda, mi è certo dispiaciuto che alcune persone siano andate via, ma il desiderio di cominciare l’esperienza dell’inverno è molto più intenso. E so che questo sentimento è comune (a parte qualche eccezione) a tutte le persone che devono affrontare l’inverno (e non mi riferisco solo ai miei compagni di viaggio), per cui credo che alla partenza dell’ultimo aereo ci sarà un brindisi.

L’INVERNO STA ARRIVANDO

Chiudo questa pagina con una citazione da una famosissima serie televisiva. Ormai i giochi sono fatti, la stagione estiva volge al termine, il sole si abbassa sempre più sull’orizzonte, la temperatura scende inesorabilmente (nell’ultima settimana è scesa di quasi 10°C) e le attività sono ormai orientate alla chiusura dei vari cantieri, le officine, la messa in sicurezza dei mezzi, ecc. La base viene consegnata ad un gruppo composto quest’anno da 13 persone, per affrontare l’inverno. Da quanto ho scritto in diverse occasioni, però, qualcuno potrebbe essere erroneamente indotto a pensare che qui in Antartide esistano solamente la stagione estiva e quella invernale. In realtà, si tratta di una convenzione. Per stagione estiva si intende il periodo in cui la base è frequentata dal personale estivo e, generalmente, copre il periodo tra la seconda metà di ottobre e la prima metà di febbraio. La stagione invernale, invece, è quella in cui un gruppo ristretto di persone rimane isolato per tutto il resto dell’anno. Ovviamente, però, anche in Antartide esistono la primavera e l’autunno e se astronomicamente è possibile individuare dei periodi ben precisi, dal punto di vista climatico è difficile capire quando queste due stagioni cominciano e terminano. Sono sicuramente le stagioni di transizione tra estate e inverno e ciò che le caratterizza, oltre alla costante discesa (in autunno) e ascesa (in primavera) della temperatura, è sicuramente l’alternarsi, nell’arco di un giorno, delle ore di luce e di buio.

E così, il 12 febbraio il sole scenderà completamente sotto l’orizzonte, per ritornare a splendere dopo pochi minuti. Sarà il primo tramonto dell’anno, seguito subito dalla prima alba. La fase in cui il sole sarà nascosto dall’orizzonte durerà sempre di più e, man mano che i giorni si succederanno, le ore di buio prenderanno il sopravvento.  Nella prima metà di maggio ci sarà l’ultima alba, uno spicchio di sole sarà visibile per pochi minuti per poi scomparire nuovamente sotto l’orizzonte. La luce diffusa ci terrà compagnia ancora per qualche giorno, sempre per meno tempo, e poi l’oscurità diverrà perenne per tutte le 24 ore. Questo periodo, il più duro dal punto di vista psicologico, ma anche il più spettacolare per la vista del cielo stellato, durerà circa 7 settimane. Poi, a partire dalla metà di luglio, la luce diffusa annuncerà la prima alba, seguita dopo pochi minuti dal primo tramonto, dopo l’inverno, intorno al 10 agosto. Il sole tornerà ad illuminare il mare di ghiaccio per sempre più ore al giorno, fin quando rimarrà sospeso sopra l’orizzonte per tutte le 24 ore.  È il riassunto di un ciclo lungo tutto un anno.

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