5-WINTEROVER!

Gruppo dei 13 partecipanti al 18° winter over a Concordia

Inizio del 18°winterover a Concordia – foto di gruppo

Dal diario di Angelo Galeandro (30 marzo 2022):

Con il decollo dell’ultimo aereo, avvenuto il 7 febbraio 2022, è iniziato il vero winterover, Da quel momento per circa 9 mesi, 13 persone resteranno isolate sul plateau antartico potendo contare solo sulle proprie forse.
Angelo ci racconta le novità trovate a Concordia dopo l’esperienza fatta 11 anni prima: dAlla piacevole scoperta di una maggiore integrazione tra italiani e francesi, Ai cambiamenti prodotti dalla disponibilità h24 della rete internet, quella scatola magica che ha annullato le distanze, ridotto i tempi e semplificato tante operazioni, ma che ha anche fatto perdere quella che era la vera peculiarità del winterover  l”isolamento”. Angelo condivide con noi anche il trascorrere delle sue giornate tra lavoro e momenti di vita in gruppo, e….. non perdetevi le meravigliose e suggestive immagini dei primi tramonti a Concordia.

Riassunto delle puntate precedenti

Partito dall’Italia il 16 ottobre, dopo un breve periodo di isolamento preventivo in Nuova Zelanda a causa del COVID, sono ritornato in Antartide il 2 novembre, dopo 5 anni. Dopo 5 giorni passati nella base Mario Zucchelli, sono finalmente arrivato a Concordia, una base italo-francese situata sul plateau antartico ad oltre 3200 m di quota, dove 11 anni prima avevo trascorso un intero anno. Il periodo estivo è passato tra passaggio di consegne con il winterover uscente ed affiancamento con i ricercatori che, annualmente, fanno manutenzione alla strumentazione scientifica precedentemente installata o ne installano di nuova. Il maggior problema che ho dovuto affrontare è stato l’insonnia o, meglio, la regolarizzazione del ciclo sonno veglia. Solo a metà gennaio ho fatto una cura a base di sonniferi, nella speranza di ricominciare a dormire con più regolarità. A fine gennaio sono cominciate le prime partenze del personale estivo e, con esse, si è fatta forte la percezione che, finalmente, la tanto attesa esperienza del nuovo winterover era vicina.

Soli!

Dopo le prime partenze del personale estivo l’atmosfera in base è diventata molto più tranquilla. Ma non ancora abbastanza. Il conteggio dei giorni che ci separavano dall’ultimo aereo continuava, e l’unico impedimento che avrebbe rinviato l’inizio della stagione invernale poteva essere il cattivo tempo. Ma fortunatamente tutto è andato per il verso giusto e, addirittura, l’inverno è cominciato 2 giorni prima della data inizialmente prevista. Il 7 febbraio è decollato l’aereo con gli ultimi esponenti del personale estivo. Un viaggio diretto verso il mondo vero, con le sue comodità e le sue contraddizioni, un ambiente in cui la natura non è così ostile, ma le ostilità sono di altra natura. E in questo momento particolare della Storia, avrebbero dovuto riabituarsi alle mascherine, al distanziamento sociale, allo stress, alla reperibilità e ai ritmi tipici della vita odierna. E chissà cos’altro (come poi è successo). Certo, da parte nostra c’era la consapevolezza che, da quel momento in poi, per circa 9 mesi, avremmo dovuto cavarcela con le nostre sole forze, non avremmo potuto contare su alcun aiuto proveniente dall’esterno. Eravamo completamente soli, isolati in un ambiente confinato. Ma, almeno da parte mia, non c’era alcuna invidia per le persone dirette verso il cosiddetto “mondo civile”. Ci aspettava un’esperienza unica, che alcuni di noi avevano già fatto, ma che, in generale, tutti guardavamo con gli occhi di chi esplora qualcosa di ignoto.

La partenza dell’ultimo aereo il 7 febbraio (foto di Julien Witwicky)

Dopo aver fatto un brindisi all’inizio della stagione invernale, i primi giorni sono trascorsi nella più completa tranquillità. C’era un’aria di standby ovunque, le uniche attività erano volte alla sopravvivenza nostra, della struttura che ci ospita e dei sistemi che eravamo chiamati a manutenere. Ognuno di noi aveva finalmente il proprio spazio vitale, la sua comfort zone, la sua privacy, La sensazione è la stessa che si prova dopo aver affrontato un periodo di stress, dovuto per esempio alla preparazione di un esame. Dopo averlo sostenuto, si rilasciano tutte le energie e il corpo e la mente si abbandonano ad uno stato di completo rilassamento. Quando poi si realizza del tutto di essere entrati in una nuova fase, allora il cervello si connette al resto del corpo e si ricomincia a funzionare come sempre.

Brindisi all’inizio della stagione invernale (foto di Thomas Gasparetto)

Foto di gruppo per l’inizio della stagione invernale (Foto di Thomas Gasparetto)

E così è cominciata la fase di organizzazione dell’assetto invernale. Pulizia approfondita dei vari ambienti, messa in ordine secondo un proprio schema mentale. Almeno nella nostra camera da letto e nel nostro ufficio/laboratorio non avremmo dovuto rendere conto a nessun altro. Nei restanti ambienti, per quanto pochi, siamo comunque un gruppo di 13 persone e, per la pacifica convivenza, bisogna rispettare un numero minimo di regole. Vige però il criterio dell’elasticità ed il resto viene lasciato al buon senso delle persone.

Impressioni

La tranquillità che ormai regnava in base mi ha dato modo di riflettere sulle prime differenze riscontrate con la mia precedente esperienza a Concordia. Undici anni sono davvero tanti ed infatti sono pochissime le persone conosciute allora che ho ritrovato questa volta. A parte le innovazioni tecnologiche che hanno semplificato alcuni aspetti dell’esistenza, alcune in maniera concreta, altre, probabilmente, solo in maniera apparente, la base è rimasta fondamentalmente la stessa. E spesso, soprattutto quando, a causa della mia insonnia, mi aggiravo per gli ambienti della base in completa solitudine, ho avuto l’impressione di “deja vu”. Sensazione che continua tuttora, a volte così intensamente, che mi sembra di non essere mai andato via di qui.

Tra le innovazioni tecnologiche più importanti che, di fatto, hanno apportato un maggior benessere, c’è l’impianto di smaltimento delle acque nere. Non ci sono più i cosiddetti “incinolet”, speciali WC dotati di camera di combustione che bruciava gli escrementi (in seguito stipati in speciali container per essere poi smaltiti in un’ottica di salvaguardia ambientale), che avevano il grosso difetto di essere incompatibili con le evacuazioni liquide. Dovendo quindi separare le evacuazioni solide dalle liquide, anche una attività normalmente rilassante diventava un lavoro.

Tra le innovazioni tecnologiche che, a mio parere, solo apparentemente hanno migliorato alcuni aspetti esistenziali, c’è la presenza di internet. Questa scatola magica che ha annullato le distanze, ridotto i tempi e semplificato tante operazioni, di fatto è diventata, anche grazie alla comparsa degli smartphone, un “servizio primario” al pari della corrente elettrica e della linea telefonica. I vantaggi sono indubbi e ormai nessuno ne può fare a meno. Ma è davvero così o siamo solo vittime della dipendenza? Undici anni fa internet era già presente nelle nostre vite, in maniera insistente da almeno un decennio, ma a Concordia non c’era. O meglio, c’era, ma era possibile utilizzarlo solo in 3 finestre temporali durante il giorno ed esclusivamente per inviare/ricevere email. Non era possibile navigare il web, utilizzare social (che già normalmente non uso), le app di messaggistica erano ancora una idea. Sono “sopravvissuto” a tutto ciò per un intero anno, eppure non ho avuto alcuna “crisi di astinenza”. Sarà pure inconcepibile, soprattutto per i nati dagli anni 90′ in poi, ma una vita senza internet è possibile. Un aspetto, questo, che sarà approfondito in un’altra sezione di questa pagina.

Una cosa molto piacevole è stato il riscontro di una maggiore integrazione tra italiani e francesi. Questi due “popoli” così vicini geograficamente, ma molto diversi in fatto di usi e abitudini, sembra stiano riuscendo a trovare finalmente un equilibrio in questa microscopica parte di mondo. Ricordo benissimo la barriera invisibile che c’era 11 anni fa e i tanti, da una parte e dall’altra, che contribuivano a renderla salda. Con solo poche eccezioni. Adesso la situazione mi è sembrata esattamente opposta. Certo, non c’è una fusione completa e, probabilmente, non ci sarà mai, la lingua e le abitudini molto diverse non possono essere messe da parte in così poco tempo, ma nelle occasioni di relax o divertimento adesso c’è molta più compartecipazione.

Altra differenza positiva è una migliore gestione del personale soprattutto per quanto riguarda gli aspetti della sicurezza. Come ho già avuto modo di spiegare, in un posto così isolato e così difficilmente raggiungibile, la sicurezza deve essere prioritaria. Non che 11 anni fa non esistessero regole a tal proposito, ma attualmente c’è un maggior rispetto delle stesse. In alcune cose, devo constatare, si esagera, per cui si è persa un po’ di quella parte “avventurosa” dell’esperienza quotidiana, ma probabilmente ciò è dovuto al fatto che alcune persone, in passato, non hanno rispettato le limitazioni imposte causando incidenti, fortunatamente mai gravi, ma che potenzialmente avrebbero potuto essere fonte di numerosi problemi.

I primi tramonti

Ritornando agli eventi trascorsi, dopo la partenza del personale estivo, la più grossa ed immediata novità che ci aspettava era una cosa che normalmente viene considerata tra le più banali: il tramonto del sole. A volte si rimane “abbagliati” dalla bellezza dei colori di cui il cielo, specialmente in presenza di qualche nuvola, si dipinge in occasione del tramonto. Qui, invece, dopo più di 3 mesi in cui il sole è visibile in ogni momento della giornata, un semplice tramonto rappresenta di per sé un evento. Il primo tramonto è avvenuto il 12 febbraio. Il disco del sole è completamente sceso sotto l’orizzonte, anche se, a causa della rifrazione atmosferica, sembra ancora di vederne una piccola porzione. Ma già da diversi giorni prima abbiamo cominciato ad assistere al suo veloce abbassarsi, il suo colore diventare arancione e poi rosso, il cielo tingersi di colori quasi dimenticati, il ghiaccio che da bianco diventa rosa, poi azzurro fino a sembrare un oceano increspato dalle onde.

 

Il sole si abbassa sempre di più sull’orizzonte nei giorni precedenti il primo tramonto (foto di Angelo Galeandro)

E così la sera del 12 febbraio diversi neofiti, nonostante la temperatura particolarmente bassa (circa -50 °C), hanno atteso il momento all’esterno, uscendo circa un’ora prima. Io, che avevo già “assaporato” questo momento 11 anni fa, ho aspettato fino all’ultimo minuto al calduccio dell’interno, per poi salire sul tetto della base e godermi lo “spettacolo” da un punto di vista privilegiato. Nonostante ne avessi già esperienza, è stato comunque particolarmente emozionante.

Due fasi del primo tramonto (foto di Angelo Galeandro)

Un fenomeno molto particolare, abbastanza raro da vedere, non esclusivo di questi posti ma che qui si presenta quasi regolarmente ogni anno in occasione del tramonto o dell’alba, è il “raggio verde”. Si tratta di un effetto ottico visibile solo quando il cielo è limpido, non c’è foschia ed il tramonto avviene su un orizzonte ampio (condizioni ampiamente soddisfatte sul plateau antartico). Quando il sole è molto basso sull’orizzonte, ma ancora visibile, i suoi raggi attraversano una porzione più ampia di atmosfera e, in condizioni particolari, la luce viene scomposta nelle sue componenti colorate principali, rosso, giallo, verde e blu, proprio come avviene quando attraversa un prisma. Man mano che il sole tramonta, le quattro componenti scompaiono separatamente per cui è possibile distinguerle una dall’altra (la visione del “raggio blu” è un fenomeno molto più raro). Osservare il fenomeno ad occhio nudo non è semplice, ma l’utilizzo di una macchina fotografica dotata di filtri particolari lo rende evidente. Quello che si nota è un fascio orizzontale di colore verde che sovrasta o interseca il disco solare. Molto suggestivo.

Il suggestivo fenomeno del raggio verde (foto di Julien Witwicky)

La giornata tipo

Da quando gli estivi sono partiti la tranquillità regna sovrana in base. I ritmi sono rallentati, ognuno svolge le sue attività nei tempi che ritiene più opportuni. A parte il reparto tecnico, che si occupa della manutenzione degli impianti della base, che continua ad essere soggetto ad orari di lavoro ben definiti, tutti gli altri trascorrono la giornata come meglio ritengono, compatibilmente con gli impegni lavorativi. Gli unici appuntamenti fissi per tutti sono il pranzo e la cena, i cui orari sono rimasti invariati rispetto alla stagione estiva (pranzo alle 12.30 e cena alle 19.30).

Per quanto mi riguarda, da quando ho fatto la cura di sonniferi a fine gennaio, il mio sonno ha subìto un graduale miglioramento. Sarà il fatto che ora la vita è meno frenetica rispetto alla stagione estiva, sarà che non condivido più la stanza da letto, sarà il fatto che nel corso della giornata ci sono ore di luce e ore di buio, ora dormo quasi regolarmente 6-7 ore a notte e ciò mi aiuta ad affrontare la giornata con maggiore energia ed ottimismo. Giornata che comincia intorno alle 7.30 con una abbondante colazione, a cui segue il controllo di tutti i sistemi e gli strumenti relativi ai progetti scientifici che mi sono stati affidati, a volte esco per recarmi nei laboratori esterni per le necessarie operazioni di manutenzione (cambio filtri, pulizia dei sensori dal ghiaccio, ecc.). Dopo pranzo ci si concede un po’ di relax tutti assieme, con qualche partita a biliardo o semplicemente chiacchierando, poi si ritorna a lavoro o a svolgere altre cose. Molto spesso vado in palestra, per evitare un rilassamento eccessivo della muscolatura. L’alta quota e il freddo intenso (quando vengono svolte attività all’esterno) causano una perdita di massa magra che solo l’attività fisica riesce a contrastare. Generalmente il martedì ed il venerdì, dalle 16 alle 17, ci sono videoconferenze con le scuole italiane che partecipano al progetto AUSDA (Adotta Una Scuola Dall’Antartide), un progetto volto a far conoscere la nostra esperienza agli alunni delle scuole elementari, medie e superiori di tutta Italia. Tutti i giorni, dalle 18.30 alle 19.15 sono impegnato nel lancio del pallone sonda, attraverso il quale vengono raccolti i dati di temperatura, pressione ed umidità fino a quote che vanno dai 25-30 km durante l’estate a 10-15 km in pieno inverno. Dopo cena, la serata passa in completo relax. Film, giochi da tavola, biliardo, piattaforme per videogiochi sono usuali modi di passare il tempo. Qualcuno si ritira in camera per rilassarsi, ma generalmente si tende a rimanere assieme. L’atmosfera è buona, la convivenza pacifica e molto tranquilla (per alcuni sin troppo). Intorno alle 23 la base è deserta. Tutte le luci sono spente. Quasi sempre sono uno degli ultimi ad andare a letto. Mi trattengo fino a mezzanotte circa per guardare qualche episodio di una serie televisiva. E quando spengo tutto per andare in camera, lungo il percorso che separa la living room o la video room (nella torre “rumorosa”) dalla camera da letto (nella torre “calma”) mi capita di realizzare di essere di nuovo in un luogo che credevo non avrei mai più rivisto. Allora penso a quando facevo lo stesso percorso 11 anni fa e, come scritto precedentemente, sono pervaso dalla sensazione di non essere mai andato via di qui. Strani giochi della mente.

Capita, a volte, di passare la giornata in cucina per aiutare il cuoco nella conservazione degli alimenti freschi o per preparare qualcosa di tipico della zona da cui si proviene. L’ultimo rifornimento di cibo fresco (frutta, ortaggi e verdura) è arrivato a fine gennaio, quando era ancora in corso la campagna estiva. Ormai, dopo 2 mesi, è praticamente tutto finito. Rimangono solo alcuni ortaggi (carote e patate) e frutta (mele) che dura più a lungo, ma che comunque deve essere trattata per durare più a lungo. Carote e patate, per esempio, vengono pulite, bollite, messe sotto vuoto e poi in frigo o congelate. Le mele, fortunatamente, non necessitano di trattamenti particolari, ma dopo 4-5 mesi perdono parte della polpa e modificano il loro sapore. Quando si cucina, poi, ci si rende conto di quanto il mestiere del cuoco sia difficile. Nello scorso fine settimana ho fatto un semplice sugo di carne, con polpette ed involtini, ero partito con l’idea di fare tutto in una mattinata, ma alla fine ci son voluti un giorno e mezzo. Il macinato non è già pronto, il vitello non è già tagliato a fettine, il pecorino non è già grattugiato. E quando si scongela un pezzo di carne bisogna utilizzarlo tutto, per cui si finisce per cucinare non per 13 persone ma per un numero indefinito, salvo poi conservare il cibo in più. E poi passare tutto il tempo in piedi senza muoversi troppo, preparare piatti alternativi per chi non mangia qualcosa perché non gli piace o ha intolleranze. E infine reinventarsi il modo di cucinare in un ambiente in cui la bassa pressione fa bollire l’acqua a 88°C e non a 100°C e la presenza di meno ossigeno e la bassissima umidità influenzano la preparazione e la lievitazione di prodotti da panificio. Marco, il cuoco, è comunque molto bravo e, a parte quando dimentica di mettere il sale nel pane, quando è ispirato prepara piatti davvero eccezionali.

  

Alcuni dei piatti preparati dal cuoco Marco Smerilli: a) quaglia in due cotture con riso in cagnone e spinaci, uvetta e pinoli, b) pizza alla carbonara e c) sella di agnello farcita, il suo jus e patate arrosto (foto di Thomas Gasparetto)

Internet

Ed ora approfondirò un discorso appena accennato precedentemente. La presenza di Internet. Sembra quasi di riferirsi ad una entità incorporea ma tangibile nella sua manifestazione. Seppur nella sua limitatezza (disponiamo di una banda di 1 Mbps), sicuramente è stata una grossa evoluzione dal punto di vista tecnologico rispetto alla mia prima esperienza. Come già scritto, anche allora c’era la possibilità di connettersi ad internet, ma era possibile farlo solo in 3 momenti della giornata ed esclusivamente per scaricare o far partire mail nel frattempo depositate sul server di posta interno. Per le comunicazioni personali con l’esterno, oltre alla mail, c’era solo ed esclusivamente il telefono satellitare che, visti i costi, veniva usato con molta parsimonia. Tutti i dati raccolti per i vari osservatori scientifici venivano inviati via mail ed erano ridotti a pochissime centinaia di kb per le forti limitazioni sugli allegati (tuttora ancora presenti). Se c’era qualche problema sulla strumentazione per la cui risoluzione bisognava chiedere il supporto del responsabile scientifico, tra l’invio di una mail e la risposta, a volte, passavano anche 24 ore (tra fuso orario e tempi morti per l’invio/ricezione della mail solo in determinate finestre temporali) e, nel caso di problemi particolarmente complessi, la corrispondenza poteva andare avanti per giorni.

La presenza di internet, ripeto, seppur nella sua limitatezza di banda, ha cambiato radicalmente questo modo di operare. I dati scientifici vengono ora inviati tramite un sistema di sincronizzazione automatico e non ci sono quasi più limiti sulle dimensioni. L’uso delle app di messaggistica permette comunicazioni in tempo reale, per cui le richieste di supporto al personale responsabile della strumentazione vengono evase in maniera molto più veloce ed efficiente. Anche le comunicazioni personali hanno tratto un enorme vantaggio. Si ha la possibilità di comunicare con chiunque dal proprio smartphone usando le app di messaggistica. Le video conferenze con le scuole sono una finestra sul mondo esterno che permette di essere in contatto “virtuale” anche con gente del tutto sconosciuta. Riassumendo, quindi, il “contatto” con il mondo esterno è molto più intenso.

Ed è proprio questo il punto e, per quanto mi riguarda, la nota dolente. È venuta quasi del tutto a mancare una delle caratteristiche peculiari del winterover: l’isolamento. Di fatto, l’isolamento concretamente c’è, nessuno può arrivare dall’esterno e nessuno di noi può andar via, ma la presenza di internet e la facilità con cui è possibile essere “in contatto” con il resto del mondo, ne ha cambiato profondamente la percezione. L’esperienza dell’isolamento era stata una delle principali motivazioni che mi aveva spinto a fare il primo winterover. Ero rimasto entusiasta alla fine del periodo, avevo conosciuto vari aspetti di me stesso che non si erano mai manifestati prima perché non mi ero mai trovato in condizioni così particolari. Tra le motivazioni che mi avevano spinto a ritornare, invece, c’era proprio la curiosità di scoprire cosa significasse essere in un posto fisicamente così remoto, ma avere allo stesso tempo la possibilità di essere “connesso” con il resto del mondo. Ebbene, attualmente posso dire che la magia di internet e l’uso che attualmente ne viene fatto relativamente alla comunicazione sociale (utilizzo intenso dei social, le numerose videoconferenze) rappresenta per me una grossa delusione. Resta inteso che non discuto sulle motivazioni, sicuramente valide, che portano all’utilizzo così diffuso di questa tecnologia. Voglio solo sottolineare la perdita di un aspetto anche “poetico” di questa esperienza, che per me aveva rappresentato la parte più sostanziosa delle motivazioni che mi avevano portato qui. E’ ovvio che non tutti sono d’accordo con me su questo punto di vista e non è un caso che, nel gruppo in cui attualmente mi trovo, solo io e Fred, il capotecnico francese con cui avevo trascorso anche il precedente winterover, la pensiamo allo stesso modo. Gli altri veterani del gruppo hanno conosciuto Concordia quando internet, così come viene utilizzato oggi, era già presente, non hanno quindi un metro di paragone.

Mi rendo conto che è difficile capire motivazioni di questo genere, ma forse c’è chi ha saputo spiegare, meglio di quanto possa fare io, cosa succede nell’animo di alcune persone quando intraprendono dei viaggi verso luoghi così isolati. Riporto nel seguito una frase del famoso esploratore polare Umberto Nobile, protagonista di una tragedia avvenuta negli anni ’20 del secolo scorso, che ho trovato stampata ed appesa a cura del collega ed amico Angelo:

L’attrazione per le regioni polari, per chi vi è stato una volta, è irresistibile. Quel senso di assoluta libertà dello spirito, quell’allontanamento da ogni cura di cose materiali che non siano quelle indispensabili alla sopravvivenza, quel perdere valore di idee, principi, sentimenti, così importanti ed essenziali nel mondo civile. […] La legge umana che più non esiste e cede il posto a quella della natura. […] Quella solitudine immensa, dove ognuno si sente re di sé stesso. Tutto questo, una volta provato, non lo si dimentica più ed esercita un fascino al quale è impossibile resistere.

Quel senso di assoluta libertà dello spirito, quell’allontanamento da ogni cura di cose materiali che non siano quelle indispensabili alla sopravvivenza. Quella solitudine immensa, dove ognuno si sente re di sé stesso.

Credo siano le parole che meglio descrivono il mio pensiero. Certo, attualmente la solitudine immensa è un’utopia, impossibile paragonarci agli esploratori dei primi decenni del secolo scorso, ma sino ad 11 anni fa c’erano le condizioni più simili compatibilmente con lo stile di vita odierno, ora la presenza di internet fa sì che ci si allontani sempre di più. Un contatto eccessivo con il mondo esterno in un contesto di vita in un posto remoto può diventare fonte di stress. E non tutti se ne rendono conto. Proprio per questo, nel mio piccolo, cerco di evitare, nei limiti del possibile, il contatto con il mondo esterno. Il mio smartphone è sempre in camera da letto e lo uso solo quando ci passo (1-2 volte durante la giornata, a parte quando vado a letto). Rimane, però, il numero eccessivo di videoconferenze fatte, per esempio, con le scuole che, fortunatamente, termineranno a giugno. Questo mio comportamento potrebbe essere confuso con asocialità, ma in realtà è solo un profondo desiderio di assaggiare sensazioni difficilmente riscontrabili nello stressante mondo “civile”.

Freddo!

A partire dalla metà di febbraio la temperatura comincia a scendere molto velocemente. Questo processo comincia, in realtà, già dalla metà di gennaio, ma in maniera molto più lenta. La temperatura passa da un valore medio di circa -30°C della stagione estiva (circa 15 dicembre – 15 gennaio) ad un valore medio di -65°C della stagione invernale (circa 15 aprile – 15 settembre). Dal 12 febbraio, giorno del primo tramonto, il giorno perde circa 2 ore di luce a settimana a favore del buio, fin quando il 5 maggio il sole tramonta definitivamente. L’escursione termica tra ore diurne e ore notturne, di circa 10-15°C durante l’estate, diminuisce pian piano fino ad annullarsi. Arriva il freddo, quello vero, non quello solamente percepito attraverso l’effetto del vento (windchill).

Grafico della temperatura istantanea media a Concordia nel periodo 2007-2021

In questo periodo bisogna porre particolare attenzione quando ci si trova all’esterno. In presenza di una bella giornata di sole, cielo terso ed assenza di vento, a causa della bassissima umidità si ha la percezione di una temperatura più alta di quella effettiva e si tende a non coprirsi adeguatamente. Ma è sufficiente una brezza per procurare bruciature da freddo sulla pelle scoperta. Poi ci sono casi in cui ci si deve scoprire per forza di cose. Ed è proprio quello che mi è successo nei primi giorni di marzo. Dovevo recarmi assieme a Julien, il glaciologo francese, sulla Torre Americana, un traliccio alto 42 m sul quale sono installati alcuni sensori per la misura di temperatura, umidità, velocità e direzione del vento. Dovevamo pulire i sensori dal ghiaccio che si accumula e ne impedisce il corretto funzionamento. Io, inoltre, dovevo mettere dei tappi per chiudere alcune aperture del box di uno strumento posizionato a circa 10 m di quota. Per questioni di sicurezza, per salire sulla torre, bisogna indossare una imbragatura ed agganciarsi, tramite un moschettone, ad una corda che scorre all’interno del traliccio per tutta la sua altezza. Ovviamente, ciò impedisce i movimenti aumentando i tempi di salita e di discesa. Quella mattina c’erano circa -45°C con circa 3 m/s di vento che, però, aumentava man mano che si saliva sulla torre. Arrivato sullo strumento, mi sono reso conto che per maneggiare i tappi dovevo per forza togliere le moffole, per cui ho esposto le mani, protette solo dai sottoguanti, ad una temperatura molto più bassa di quella effettiva a causa del vento (questo è uno dei casi in cui bisogna tener conto della temperatura di windchill). Mentre avvitavo i tappi, dopo 10 secondi ho cominciato a provare dolore alle dita, dopo mezzo minuto cominciavo a perdere la sensibilità. Ho finito in fretta il lavoro ed ho rimesso le moffole, sarei dovuto salire di altri 10 metri per pulire i sensori, ma mi sono reso conto che ormai avevo completamente perso la sensibilità delle dita, in particolare del medio, anulare e mignolo, era come non averle! La moffola era ormai inutile, le dita non si sarebbero più riscaldate perché il sangue aveva smesso di circolare. Sono quindi sceso il più velocemente possibile, avevo bisogno di stare al caldo all’interno dello shelter vicino la torre. Sganciare il moschettone è stata una impresa, visto che le dita non rispondevano più ai comandi, ma alla fine ci sono riuscito e sono andato nello shelter. Ho cominciato a frizionare le mani e ad alitarci sopra (la temperatura all’intenro dello shelter è di circa 10°C) e, pian piano, il sangue è tornato a circolare. È il momento peggiore. La vita torna a scorrere e lo si percepisce con un fortissimo dolore diffuso in tutta la parte congelata. Il dolore è stato così forte che ho cominciato ad avere capogiri e nausea. La cosa è del tutto normale, bisogna solo pazientare ed aspettare che passi, come poi è stato. Qualche settimana dopo la stessa cosa è toccata ad un collega, sempre sulla torre americana. A lui però è andata un po’ peggio perché le dita erano diventate bianche, sintomo di uno stato ancora più avanzato di congelamento. Anche lui, fortunatamente, è tornato a riscaldare le mani in tempo, provando il fortissimo dolore accompagnato da capogiri e nausea. Però, per riacquistare la piena sensibilità, ha dovuto aspettare ben 2 giorni.

A parte questi “piccoli inconvenienti”, l’autunno antartico è una bellissima stagione perché c’è il ritorno ad una condizione più normale per l’organismo, ossia l’alternarsi delle ore di buio e di luce. Attualmente il sole tramonta intorno alle 18 e sorge circa alle 6 del mattino. La cosa più spettacolare di questo periodo è il cielo stellato. L’assenza di inquinamento luminoso e la bassissima umidità contribuiscono ad una visibilità eccezionale, riscontrabile solo in pochissime altre parti del mondo. Quando non c’è la luna, le polveri della Via Lattea sono visibili ad occhio nudo. Si vedono milioni di stelle in più rispetto a quelle che si vedono normalmente e sono visibili anche i satelliti artificiali che sfrecciano da un orizzonte all’altro a velocità pazzesche.

Lo splendido cielo stellato con il fenomeno dell’aurora australe (foto di Julien Witwicky)

Con la luna piena, invece, la luce riflessa dal ghiaccio sembra aumentare la desolazione del territorio circostante. Il paesaggio diventa “spettrale” e, quando ci si trova all’esterno, le luci artificiali della base danno quasi un senso di conforto.

Il paesaggio antartico sotto la luce lunare (foto di Angelo Galeandro)

Anomalie climatiche

Come già scritto, a partire dalla metà di febbraio la temperatura è cominciata a scendere abbastanza velocemente. Il 13 marzo la massima era stata di circa -60°C, la minima circa -65°C. Uno sguardo alle previsioni ha rivelato un innalzamento della temperatura nei successivi 3 giorni. Non ci ho fatto molto caso, a volte dopo un aggiornamento le previsioni cambiano. Il giorno dopo, la temperatura è cominciata a salire e le previsioni aggiornate confermavano la tendenza al rialzo. Il 15 marzo, la previsione a 3 giorni indicava un aumento della temperatura fino ad un massimo di -20°C il 18 marzo. Raramente i valori previsti sono poi confermati. Le previsioni meteorologiche in Antartide sono molto complicate, le condizioni mutano molto velocemente e i dati necessari ad alimentare i modelli previsionali sono piuttosto scarsi. Generalmente, però, la tendenza prevista (innalzamento o abbassamento della temperatura) viene rispettata. Mi aspettavo quindi un aumento, ma non fino a -20°C. Questa temperatura, infatti, è difficilmente raggiungibile anche in piena estate. Da quando la stazione meteorologica è stata installata nel 2006, la temperatura è andata sopra -20°C solo in 48 giorni su oltre 5000!

Ma la temperatura continuava molto velocemente a salire e il 17 marzo era andata sopra -20°C. Si trattava di un record per il periodo, ma, secondo la previsione, il massimo assoluto sarebbe stato raggiunto il giorno successivo. La cosa mi ha incuriosito, così il mattino successivo ho monitorato la temperatura con più attenzione. E così ho assistito ad un evento unico. La temperatura ha prima superato il record precedente (-13.7°C il 17 dicembre 2016, quindi in piena estate), poi ha infranto il muro di -13°C e, successivamente quello di -12°C. Alle 13.03 è stata raggiunta la temperatura di -11.8°C, un evento di portata storica. Era incredibile, c’era stato un balzo di circa 50°C in circa 72 ore. Per “festeggiare” l’evento, abbiamo deciso di fare una foto un po’ goliardica che ci ritraeva all’esterno in assetto da mare. Nonostante il vento, infatti, la temperatura di windchill era di appena -20°C, per cui si poteva benissimo stare all’esterno con il solo costume per diverso tempo senza provare alcuna sensazione di freddo (ciò è dovuto all’umidità molto bassa che altera la percezione rispetto a quanto siamo normalmente abituati). Siamo stati fuori qualche minuto per poi rientrare e andare a fare altre foto sul tetto della base.

La goliardica foto scattata in occasione dell’evento di riscaldamento del 18 marzo (foto di Stanislav Grabowski)

Cosa stava succedendo? Cercando su internet, abbiamo visto che tutta la parte orientale dell’Antartide era stata investita da un’ondata di calore anomalo, in alcune zone costiere la temperatura era salita anche di 70°C. Eventi di riscaldamento così importati e veloci non sono così inusuali. Anche in pieno inverno, succede spesso che la temperatura aumenti di 30-40°C in poche ore per poi ritornare ai valori tipici della stagione. A volte questi warming events, così vengono chiamati, possono durare anche 7-10 giorni. Un aumento di 50°C, però, è davvero eccezionale ed è ancora più eccezionale che sia stata raggiunta una temperatura mai vista nemmeno durante il periodo estivo (almeno da quando c’è la stazione meteorologica). Andando a guardare i dati, però, mi sono reso conto che un evento così importante c’era stato anche lo scorso inverno a fine luglio, quando la temperatura era salita in poche ore di oltre 50°C.

Si tratta di anomalie casuali o questi eventi rappresentano un sintomo di qualcosa di più importante? Da anni si sente ormai parlare di cambiamenti climatici. La temperatura media del pianeta sta salendo e questo crea dei disequilibri a livello globale. Da qualche anno stiamo assistendo sempre con maggior frequenza ad eventi meteorologici di intensità maggiore della media (nubifragi, uragani, tornado, ondate di calore o di freddo particolarmente intense, ecc) soprattutto nelle zone temperate del mondo. I ghiacciai di tutto il mondo si stanno “ritirando”, al Polo Nord decresce anno per anno la quantità di mare ghiacciato. Anche in Antartide si osservano questi fenomeni, soprattutto nella zona occidentale e, in generale, sulle coste. Sempre più spesso si sente parlare di enormi iceberg che si staccano a causa dell’aumento della temperatura. Il plateau antartico, però, sinora era sembrato immune a questi fenomeni. Sinora.

Non sono un esperto di climatologia, ma la mia sensazione è che si sia innescato un meccanismo irreversibile. Se davvero la causa di tutto questo è l’uomo, riusciremo ad arrestarlo semplicemente riducendo nei limiti del possibile l’emissione di gas serra? È ancora troppo presto per dirlo e non è questa la sede più adatta per discuterne.

La temperatura è pian piano scesa nei giorni successivi e, dopo una settimana siamo tornati ai valori tipici del periodo. Cosa succederà nei prossimi mesi?

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Unità Tecnica Antartide