La stazione si popola di tecnici e ricercatori, gli aerei vanno e vengono e il rifornimento della stazione procede a pieno ritmo con l’arrivo delle traverse. Si è nel pieno della campagna estiva. Angelo ci racconta la sua giornata tipo e le sue mansioni… Le operazioni di routine, le periodiche esercitazioni e le feste scandiscono il passare del tempo, e nonostante gli addobbi, i pranzi e i cenoni organizzati dai cuochi per festeggiare il Natale e l’arrivo del nuovo anno, dal racconto di Angelo appare come nulla riesca a colmare la distanza da casa e dagli affetti.
RIASSUNTO DELLE PUNTATE PRECEDENTI
Partito dall’Italia il 16 ottobre, dopo un lunghissimo viaggio sono arrivato a Christchurch, in Nuova Zelanda, il 18 ottobre. In compagnia di un gruppo di 30 persone, ho affrontato i 14 giorni di isolamento preventivo, sempre chiuso in stanza, con un paio di uscite al giorno di 1 ora circa l’una. Una esperienza abbastanza alienante, ma alla fine il tempo è trascorso e il 2 novembre, a bordo di un C130 dell’Aereonautica Militare Italiana, siamo stati portati in Antartide, nella base italiana MZS. Ritornare in questo luogo dopo 5 anni è stato bellissimo, il tempo è trascorso aiutando una collega e questa attività mi ha anche portato a fare un lungo giro in elicottero, il che mi ha dato la possibilità di visitare due grosse pinguinaie. Il 7 novembre ci siamo infine imbarcati sul DC3, un aereo bielica, diretti a Concordia, la stessa base in cui, 10 anni prima, avevo trascorso un intero anno nella mia prima esperienza antartica. L’emozione nel rivedere e rivivere il luogo che avevo considerato la mia seconda casa è stata fortissima e, nonostante i disagi che mi attendevano, ero molto contento di essere tornato qui. Concordia è situata sul plateau antartico ad oltre 3200 m di quota, in una zona dalle condizioni climatiche molto particolari. Temperatura, pressione ed umidità giocano un ruolo fondamentale in questo posto ed il processo di adattamento dell’organismo può durare diverse settimane. I disagi sono notevoli, soprattutto nella fase iniziale, ma nella maggioranza dei casi si riesce a superarli o, quanto meno, ad alleviarli. Nelle prime due settimane sono stato impegnato nel passaggio di consegne con l’invernante uscente, poi è arrivato il personale scientifico che, durante la campagna estiva, installa e/o aggiorna la strumentazione necessaria ad acquisire dati per i diversi progetti scientifici, che funzionerà per tutto l’anno a venire sotto la supervisione del personale invernante.
L’INIZIO DELLA STAGIONE ESTIVA
Il periodo tra la seconda metà di novembre e la seconda metà di gennaio è il più intenso dal punto di vista delle attività. La base si popola pian piano di personale sia logistico sia scientifico, fino a raggiungere, e talvolta superare, la capienza massima di 70-75 persone. C’è gente in giro in ogni momento del giorno. Da una parte, il personale scientifico, che effettua la revisione o l’aggiornamento di strumentazione già presente o l’assemblaggio di nuova strumentazione per ulteriori esperimenti scientifici, dall’altra il personale della logistica che effettua le operazioni di manutenzione ordinaria e straordinaria, lavori di rinnovamento e ampliamento di impianti e strutture, supporto al personale scientifico. Gli orari dei pasti scandiscono la giornata “tipo”, colazione dalle 7.00 alle 8.00, pranzo dalle 12.00 alle 13.00 e cena dalle 19.30 alle 20.30. Dopo cena c’è un po’ di relax, c’è chi si ritira in stanza, chi resta a chiacchierare, chi guarda un film, chi improvvisa giochi di gruppo e chi continua a lavorare.
La mia giornata comincia quasi sempre intorno alle 5.30, quando mi alzo per fare la doccia senza dover fare la fila. A quell’ora siamo in piedi in 4 o 5 persone (compresi i 2 cuochi che devono programmare la giornata culinaria), faccio una abbondante colazione dolce e, a volte, anche salata, resto in attesa della riunione informativa delle 8 passando il tempo ascoltando musica, chiacchierando con chi nel frattempo è arrivato, lavando le stoviglie accumulate la sera prima. Il resto della giornata segue i ritmi della gran parte delle altre persone, a parte il post pranzo in cui, quando non ci sono impegni particolari, seguo il “rito” della pennichella pomeridiana che mi permette di recuperare un po’ delle ore di sonno che non riesco a fare durante la notte. Mediamente, infatti, almeno sinora, ho dormito 3-4 ore a notte, per cui senza il sonnellino pomeridiano arriverei a sera sfiancato. Solo nell’ultima settimana ho cominciato a dormire un po’ di più la notte, ma questo non mi ha fatto rinunciare al riposo del primo pomeriggio.
LE MIE MANSIONI
Le giornate, quindi, scorrono seguendo i vari ricercatori che mi istruiscono sul funzionamento delle loro apparecchiature e su come effettuare la manutenzione ordinaria e straordinaria. Ma di cosa mi occupo qui esattamente?
Seguo i programmi che ricadono nell’ambito della Fisica dell’Atmosfera, volti principalmente a misurare i flussi di radiazione superficiale e termica, del contenuto di ozono superficiale e stratosferico e di neutroni (raggi cosmici), al fine di ottenere informazioni sulle interazioni del sistema Terra-Atmosfera, che ha un ruolo fondamentale nel determinare le condizioni termiche e la circolazione dell’atmosfera e dell’oceano, modellando le principali caratteristiche del clima terrestre, nell’ottica dello studio dei meccanismi che sono alla base delle lente alterazioni climatiche che stanno interessando il nostro pianeta. Mi occupo anche della gestione dell’Osservatorio Meteorologico che, attraverso le osservazioni delle dinamiche atmosferiche sul continente antartico e le sue variazioni su diverse scale temporali, contribuisce alla conoscenza dei cambiamenti climatici.
Un pittoresco laboratorio esterno dove devo recarmi per la manutenzione della strumentazione
Paroloni. Quanti paroloni. Comune denominatore sono gli ormai tristemente famosi “cambiamenti climatici” che, negli ultimi anni, tante dispute hanno generato tra gli scienziati di tutto il mondo. Dal punto di vista pratico, però, il mio lavoro da invernante sarà molto più semplice di quanto non possa sembrare dalla descrizione fatta precedentemente. Nel caso di ordinaria manutenzione, dovrò limitarmi a verificare giornalmente che i vari strumenti siano in funzione ed acquisiscano regolarmente i dati. Affinché tali dati non siano falsati, dovrò effettuare periodicamente la pulizia dei vari sensori dal ghiaccio che tende a ricoprirli e cambiare i filtri degli strumenti che fanno analisi quantitative sull’aria. I problemi sorgono quando qualche sensore presenta dei malfunzionamenti, per cui bisogna operare all’esterno per l’eventuale riparazione o sostituzione. C’è da sperare che questi eventi non ci siano o siano comunque in numero limitato. Ricordo benissimo ancora, infatti, quando nella precedente esperienza annuale, ci fu un guasto della stazione meteorologica a giugno, con una temperatura inferiore a -60°C e senza il conforto della luce solare. Si trattava di un problema elettrico che, con l’aiuto dell’elettricista fu risolto. Ma impiegammo ben 4 ore, quando in una situazione ambientale più semplice sarebbero bastati forse 15 minuti. Una attività particolare che devo svolgere ogni giorno, intorno alle 19, è il radiosondaggio, consistente nel lanciare un pallone gonfio di elio al quale è legata una sonda che registra, man mano che il pallone sale in quota, i valori di temperatura, pressione, umidità e velocità del vento. Si ottengono così i profili altimetrici di tali parametri, utili, tra le altre cose, per la calibrazione dei modelli climatici previsionali.
Ed ora un avviso per tutti gli esperti del settore. Se ho scritto inesattezze, fatemelo pure notare, così potrò fare una errata corrige.
ESERCITAZIONI
Una volta a settimana, mediamente, vengono organizzate delle esercitazioni antincendio o di recupero di feriti, in cui sono coinvolti solo ed esclusivamente gli invernanti. Io sono stato inserito nella squadra dei 4 vigili del fuoco e in quella di recupero (a dirla tutta ne avrei volentieri fatto a meno perché sono le mansioni più faticose, ma alla fine in un gruppo di sole 13 persone non si poteva fare diversamente).
Esercitazioni antincendio. Viene simulato un incendio in un luogo qualunque della base, scatta l’allarme e bisogna subito correre per prendere posizione. Lo station leader, il capo tecnico, il medico ricercatore dell’ESA e il meccanico coordinano le operazioni, l’ICT recupera la valigetta del telefono satellitare Iridium (fondamentale per le comunicazioni nel caso in cui il corpo principale della base vada distrutto da un incendio), l’idraulico spegne gli impianti che, in caso di incendio potrebbero costituire un pericolo supplementare (basti pensare all’impianto elettrico), il medico si prepara per accogliere in ospedale eventuali feriti, infine l’astronomo e la glaciologa aiutano nella vestizione i 4 sfigati vigili del fuoco(io tra questi) che dovranno operare in prima linea affrontando l’incendio. Le operazioni di vestizione richiedono tempo (per questo ci sono 2 persone adibite ad aiutare), bisogna correre al proprio armadietto, indossare gli indumenti ignifughi, maschera, casco, bombola d’aria e dirigersi nel punto in cui è stato individuato l’incendio.
Operazioni di vestizione durante una esercitazione antincendio (foto di Rocco Ascione)
Se l’incendio è al terzo piano, le due rampe di scale costituiscono un problema non da poco, perché bisogna salire con il carico supplementare della bombola d’aria e dell’eventuale estintore e, credetemi, in un ambiente in cui l’ossigeno è ridotto, si fa davvero tanta fatica. Durante l’ultima esercitazione, in cui l’incendio era simulato, appunto, al terzo piano, sono arrivato su sfinito ed ho dovuto fermarmi perché mi mancava l’aria.
Esercitazioni di salvataggio. Sinora sono state simulate due situazioni particolari. Nella prima, la vittima si trova in un ambiente sotterraneo, posto sotto la superficie del ghiaccio, a cui si accede attraverso una botola, e non è in grado di risalire da sola. In questo caso, dopo che il medico ESA si è accertato delle sue condizioni (è cosciente? ha delle fratture? ecc.), con l’aiuto di un altro soccorritore assicura la vittima ad una fune che, attraverso una carrucola collegata ad un treppiedi, permette di tirar su la vittima.
Simulazione di salvataggio (foto di Danilo Collino)
Questa situazione non è così inusuale qui. Diversi laboratori esterni che, anni fa, erano stati costruiti e poggiati sulla superficie del ghiaccio, sono stati col tempo sommersi dalla neve. L’accesso è attualmente possibile solo dall’alto attraverso una botola, ricavata sul tetto successivamente. È un tipo di accesso che presenta qualche pericolo per cui, pian piano, questi laboratori sono stati sostituiti da altri montati su palafitte. Nella seconda situazione, la vittima si è infortunata mentre si trova sulla Torre Americana a circa 20 metri di altezza. La Torre Americana è un traliccio alto 42 metri, sul quale sono installati dei sensori a diverse altezze. Tali sensori sono in gestione ai responsabili dei progetti di Glaciologia e di Fisica dell’Atmosfera (e si, quest’ultimo sono proprio io), che periodicamente devono recarsi sulla torre, distante quasi 1 km dalla base, per pulire i sensori dal ghiaccio che li ricopre. Anche in questo caso, il medico ESA si accerta innanzitutto delle condizioni della vittima e, in seguito, con l’aiuto dei 4 soccorritori, la assicura ad una fune, che può scorrere internamente o esternamente alla torre, e viene calata a livello del suolo. In entrambi i casi, quello che più conta, è cercare di portare la vittima (soprattutto se incosciente o impossibilitata a muoversi) in un luogo riscaldato nel più breve tempo possibile, per evitare che l’ipotermia possa causare danni irreversibili all’organismo. All’interno del corpo principale della base, il medico ed altri 4 improvvisati infermieri cercheranno di curare al meglio l’eventuale ferito.
La Torre Americana e vista della base dall’alto della Torre (foto di Angelo Galeandro)
Spesso mi chiedo come mi comporterei di fronte ad un evento reale e non una simulazione. Reagirei seguendo le norme comportamentali che sto cercando di imparare, oppure mi farei prendere dal panico con azioni che potrebbero rivelarsi anche fatali per me o per altre persone? Un bel dilemma, a cui credo tutti sperano di non dover mai dare una risposta. Se dovesse capitarmi di affrontare situazioni del genere, se ne avrò la possibilità, vi racconterò. Parto dal presupposto che non sono un vigile del fuoco né un soccorritore professionista ed è assurdo pensare di poter anche solo lontanamente somigliare a queste categorie con qualche periodica esercitazione. Non resta, quindi, che fare del proprio meglio e, soprattutto, prestare molta attenzione affinché situazioni del genere non si verifichino.
FESTE
La vita a Concordia non è fatta, ovviamente, solo di lavoro. La sera, dopo cena, ci si concede del relax e, quasi sempre, nel fine settimana, ci sono feste più o meno organizzate. È uno dei tanti modi per esorcizzare il fatto di trovarsi in un ambiente così ostile. Ci si riunisce in un luogo, che può essere la living room o una struttura esterna alla base, e con la musica ci si lascia andare. C’è un luogo, in particolare, a cui sono legato affettivamente. È lo “Spacca Ossa”, una specie di locale ricavato in una tenda che fungeva precedentemente da magazzino e che, 10 anni fa, in occasione della mia precedente spedizione annuale, fu inaugurato come locale per le feste. Da allora ha conservato questa destinazione d’uso.
Angelo Galeandro all’ingresso dello “Spacca Ossa”
Il particolare nome è dovuto ad un episodio, nemmeno tanto bello. La dottoressa ricercatrice dell’ESA che era presente per la campagna estiva, entrando nel locale in cui si decise una sera di festeggiare clandestinamente, scivolò con lo scarpone pieno di ghiaccio sul pavimento in legno procurandosi una frattura di qualche ossicino della caviglia. Da lì il nome. La stessa sera, io mi procurai una ustione di terzo grado, dopo essere scivolato ed aver poggiato il braccio, per non cadere, sul tubo di scarico della stufa. Il segno che ancora porto sul braccio ha creato quel legame affettivo di cui scrivevo poc’anzi.
LA TRAVERSA
Come ho già avuto modo di descrivere, Concordia è una base molto isolata. La base più vicina è la russa Vostok, che dista circa 600 km. Le basi direttamente collegate sono l’italiana Mario Zucchelli (MZS) e la francese Dumont D’Urville (DDU), entrambe situate sulla costa, distanti circa 1200 km, dislocate a formare con Concordia un triangolo circa equilatero. Tutti i rifornimenti, materiali e viveri, destinati a Concordia passano per queste due basi. Da MZS c’è un costante collegamento aereo (mediamente 1-2 voli a settimana), attraverso il quale arriva la gran parte del materiale scientifico, i bagagli del personale e alcuni generi alimentari, soprattutto quelli freschi (frutta e verdura). A 5 km da DDU, invece, si trova la piccola base Cap Preud’Homme, da cui vengono organizzate due o tre spedizioni durante l’intera stagione estiva, chiamate traverse, con le quali vengono trasportati materiali ingombranti o, comunque, pericolosi per essere imbarcati in aereo (per esempio il carburante per i motori che danno energia alla base). Una “carovana” di mezzi pesanti, guidata da circa 10 persone, si mette in viaggio e percorre l’intera distanza ad una velocità media di 12 km/h, impiegando circa 10 giorni per arrivare a destinazione, risalendo lungo il plateau antartico dal livello del mare alla quota di oltre 3200 m. L’arrivo della traversa è sentito come un evento ed infatti diverse persone si avviano lungo la pista per la dovuta accoglienza. È grazie a questi uomini che arriva la gran parte del materiale che consente una dignitosa sopravvivenza in un postaccio come questo.
I mezzi della traversa in arrivo a Concordia (foto di Djamel Mekarnia)
La prima traversa è arrivata domenica 5 dicembre, con il suo carico di carburante, attraverso il quale viene prodotta l’energia elettrica, arredi per la base, materie prime per la costruzione di nuovi edifici ed altro materiale vario. La seconda arriverà a metà gennaio, portando diverse tonnellate di viveri che, ahimé, dovranno essere stipati esclusivamente a cura degli invernanti.
ASPETTANDO IL NATALE
Ormai mancano solo 2 settimane al Natale, festa molto sentita in quasi tutto il mondo, anche se ormai più che altro dal punto di vista commerciale. Le città si “vestono”, la pazza euforia per la corsa ai regali, ci si prepara per i banchetti luculliani. Il tutto a partire da diverse settimane prima, per cominciare a vivere il periodo in attesa del culmine delle festività. A Concordia e, in generale in Antartide, nulla di tutto ciò. Contrariamente al titolo di questo piccolo paragrafo, non vi è l’attesa del Natale e nulla, a parte un piccolo albero decorato, lascia presagire l’arrivo del periodo di festa. Il 25 dicembre ed il 1 gennaio sono gli unici due giorni di riposo (ciò ovviamente vale per il personale logistico, quello scientifico può scegliere se lavorare o meno), ovviamente i cuochi si impegnano per organizzare dei pasti più elaborati del solito, ma tutto finisce lì. Apparentemente tutto ciò sembra un po’ triste, ma, essendo tradizionalmente il Natale una festa da passare circondati dal calore familiare, non si può certo fare di meglio in un luogo in cui, ciascuno di noi è separato dalla propria famiglia da una distanza di circa 15000 km.
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